Il valore del feedback negativo: trasformare le lamentele dei clienti in opportunità di crescita

Michela Morelli

Le lamentele e i feedback negativi non sono mai piacevoli, ma arrivano. E quando arrivano, le aziende possono e devono smettere di considerarli docce fredde o fastidi da sopprimere, ma gestirli con metodo e considerarli per quello che sono: una miniera d’oro di informazioni operative e strategiche. Ecco perché e come le critiche possono essere trasformate in impulsi alla crescita.

Perché ascoltare il feedback negativo conviene (e costa meno di quanto pensiamo)

Ignorare le lamentele è la cosa più veloce da fare. Ma è anche la più sbagliata e, paradossalmente, costosa. E il costo dell’ignorare i feedback negativi è reale, addirittura quantificabile. Ad esempio (i dati) di PwC, una rete multinazionale di imprese di servizi professionali, evidenziano che il 32% dei consumatori è disposto ad interrompere i propri rapporti con i brand anche dopo una sola esperienza negativa. Questo significa inequivocabilmente che migliorare l’esperienza, anche a partire da risposte a problemi segnalati, influisce in maniera diretta sul fatturato e sulla percezione del brand.

Lo stesso dato di PwC, ma letto in positivo, è confermato da Harvard Business Review, che riprendendo una ricerca Bain & Company (mostra) come aumenti della retention anche solo di pochi punti percentuali possano tradursi in incrementi di profitto molto consistenti. E come si tiene un cliente con sé e lo si fidelizza? Prevenendo l’abbandono e riacquisendo i clienti persi a causa di un’esperienza negativa.

Il paradosso del reclamo: pochi parlano, molti se ne vanno

Una volta che si è compreso il paradosso del reclamo, la lamentela e il feedback negativo vengono accolti quasi con gioia dai brand che vogliono migliorarsi e recuperare i clienti scontenti. Ma di cosa si tratta? La maggior parte dei clienti insoddisfatti non presenta lamentele, se ne va e basta. Per non tornare mai più. Esatto, è la cosiddetta “maggioranza silenziosa” di clienti scontenti che non comunica il proprio disagio all’azienda ma smette di acquistare prodotti, servizi ed esperienze. Per le imprese questo significa che ogni reclamo rappresenta (se interpretato correttamente) una finestra su problematiche potenzialmente molto più vaste.

Trasformare le lamentele in insight: metodo e strumenti

Ci sono dei passaggi fondamentali da compiere per trasformare i feedback negativi e le lamentele in potenziale vantaggio competitivo. Ecco le fasi e gli strumenti da utilizzare:

  1. Raccogliere feedback in modo sistematico A quanto pare la “maggioranza silenziosa” ha bisogno di essere incoraggiata ad esprimersi. E, per quanto sia potenzialmente pericoloso chiedere l’opinione dei clienti, bisogna farlo, perché in qualche modo la sua opinione ci arriverà, ed è meglio riuscire ad intercettarla finché le situazioni sono risolvibili. Un brand che vuole mostrarsi proattivo in questo senso non può aspettare che il cliente trovi la pagina “Contattaci”, ma integrerà canali diversi (survey post-servizio, NPS, recensioni online, social listening, chat, email e dati di supporto tecnico) in un sistema più ampio che gli permetta di avere le idee più chiare possibile su ciò che il cliente pensa.

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  1. Analizzare prima di reagire: text analytics e prioritarizzazione Un reclamo isolato può dire molto più di quanto sembri, e contenere segnali di problemi operativi (ad esempio guasti ricorrenti) o di percezione (la comunicazione ingannevole, per dirne una). L’analisi testuale delle opinioni dei clienti, nelle loro varie forme, permette di raggruppare le segnalazioni per tema e gravità trasformando montagne di testo in colline percorribili di spunti che possono (devono) trasformarsi in azioni. Per le PMI è possibile partire con soluzioni ibride: registrazione e codifica manuale dei primi 100-200 reclami per poter costruire un vocabolario e poi utilizzare quei dati per analizzare le future lamentele con strumenti automatici.

  2. Chiudere il cerchio con i clienti È il processo del cosiddetto “closing the loop”: rispondere rapidamente a chi si è lamentato, risolvere il problema e comunicare l’azione intrapresa. Le aziende che riescono a farlo (tutto, chiudendo appunto il cerchio e non lasciando che le cose si sistemino da sole - perché non lo faranno-) riportano tassi di retention molto più alti tra i clienti recuperati. Un cliente che ha visto risolto il suo problema in modo soddisfacente può diventare un promotore più fedele di uno che non ha mai avuto alcun problema (paradosso meraviglioso della customer recovery: risolvi male e perdi, risolvi bene e fidelizzi).

  3. Integrare i risultati nei propri processi Un brand che fa una buona gestione dei feedback negativi non si limita a “riparare” i singoli casi: le lamentele devono alimentare processi e formazione per il futuro. Un sistema efficace mappa i temi ricorrenti (ad esempio riduzione dei tempi di consegna, semplificazione del reso, miglioramento dell’esperienza in store) e assegna responsabilità chiare con scadenze definite.

KPI e metriche per misurare il valore delle azioni correttive

Per misurare l’impatto delle azioni intraprese per migliorare i processi a seguito delle lamentele ricevute, è necessario collegare azioni e risultati con KPI concreti:

  • CSAT (Customer Satisfaction);
  • NPS (Net Promoter Score) per monitorare l’andamento della raccomandazione nel tempo e capire quanto le azioni sui reclami influenzino la propensione a raccomandare;
  • tasso di risoluzione al primo contatto e tempi medi di gestione;
  • churn rate (tasso di abbandono) e Customer Lifetime Value (CLV) per misurare l’impatto economico delle azioni. Inutile fingere che non sia così: più clienti fedeli nel tempo significa maggiore profitto per l’azienda.

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La differenza tra reagire e imparare

Perché il sistema funzioni, servono tre elementi culturali:

  1. leadership che incentivi l’ascolto: le lamentele devono essere viste per quello che sono, cioè opportunità, materia grezza apparentemente negativa da trasformare in oro, non colpe da scaricare sui dipendenti;
  2. trasparenza interna per ridurre i tempi di reazione;
  3. responsabilità del singolo: ogni problema ricorrente deve avere una persona incaricata per risolverlo e una scadenza per la soluzione. Il rischio nella mancanza di queste figure si traduce nel più classico degli scaricabarili che finiscono spesso in una bolla di sapone. Una bolla di sapone molto costosa.

Rischi ed errori comuni (e come evitarli)

Sono pochi, semplici, ma possono essere fatali. Li elenchiamo in brevissimo:

  • ascoltare ma non agire: peggiora la fiducia e dimostra disinteresse e disorganizzazione. Come si risolve? Avendo un chiaro calendario decisionale con responsabile della soluzione e data di scadenza precisa per l’ottimizzazione del processo di cui il cliente si è lamentato;
  • rispondere lentamente: la velocità di reazione è spesso più determinante della soluzione tecnica. Se prima questa affermazione era vera, al tempo dei social network è diventata sacra. Anche per risolvere questo problema, una solida organizzazione interna è fondamentale;
  • interpretare male i dati: lo ripeteremo per sempre, fino allo sfinimento. I dati non servono a niente se non sai leggerli e tradurli in azioni;
  • non comunicare i miglioramenti: informare i clienti delle modifiche apportate mostra che il loro feedback conta e riduce l’effetto negativo delle recensioni.

Il ruolo dell’istituto di ricerca: come possiamo aiutare

Un istituto di ricerche di mercato può supportare i brand in tutto il percorso di cui abbiamo parlato:

  • progettazione e gestione di programmi VoC (Voice of the Customer) su misura;
  • raggruppamento tematico e analisi testuale delle opinioni espresse dai clienti;
  • indagini quantitative e qualitative per identificare nella maniera più precisa possibile la diffusione di un problema;
  • misurazione degli impatti delle azioni intraprese per risolvere il problema;
  • formazione operativa per “chiudere il cerchio” con i clienti.

Queste attività, che all’apparenza possono sembrare solo costose consulenze, sono in realtà investimenti che possono migliorare le performance economiche diminuendo il tasso di abbandono e alzando quello di fidelizzazione. Non lo diciamo (solo) noi, lo hanno detto McKinsey & Company nella parte centrale di (questo)[https://www.mckinsey.com/featured-insights/mckinsey-explainers/what-is-personalization?] articolo che spiega come il feedback sia parte integrante della strategia dei brand di successo.

In conclusione, abbiamo ripetuto un numero sufficiente di volte il fatto che il feedback negativo non è un problema da eliminare: è una risorsa strategica. Le lamentele raccontano cosa non funziona per i clienti reali, indicano priorità operative e offrono opportunità per differenziarsi dalla concorrenza.

Ricordiamolo (soprattutto alla luce del paradosso della maggioranza silenziosa): se il cliente si lamenta, è perché ci tiene, e noi dovremmo tenerci più di lui.


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