Bugie online e sondaggi: come difendersi

Gli utenti della Rete tendono a mentire. Inutile nascondersi dietro un dito, questa affermazione può ormai essere data per scontata. Ma vediamo di che numeri si parla, come questo può influire sui sondaggi e gli strumenti che hanno a disposizione gli istituti di ricerca per difendersi da questo pericolo (neanche troppo) nascosto.

Siamo tutti bugiardi

Le bugie online corrono veloci, ma per poco, perché come nella vita reale hanno le gambe corte. Il motivo? Le bugie dette online non sono né più né meno di quelle dette offline, con la piccola sostanziale differenza che in Rete se ne può tenere traccia con più facilità, ricavandone statistiche e modelli matematici. Ad occuparsi della bugia come costante della comunicazione umana online e offline, con particolare attenzione a quello che succede in Rete, è stato l'Istituto di fisica dell’INAM (Institute of Advanced Materials). Da uno studio condotto da Rafael A. Barrio è emerso che le bugie sui social network rispettano gli stessi modelli tipici di qualsiasi comunicazione umana. La bugia sarebbe insita nella nostra natura e sarebbe presente, in varie forme, in ogni tipo di società umana e non solo. Altri bugiardi? Gli scimpanzé!

I social network e le bugie "bianche"

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I social network sono un bacino privilegiato di raccolta di bugie. La ragione per cui si mente di più è che si cerca di mostrare il lato migliore di sé, una versione edulcorata di chi siamo offline. Spesso, però, queste "bugie bianche" si rivelano comunque controproducenti. Lo dimostra una statistica stilata dal sito di e-dating 'eDarling', che ha coinvolto 332 persone, 50% donne e 50% uomini, fra i 18 e i 65 anni e dalla quale sono emersi questi interessanti dati:

  • il 50% degli intervistati sostiene che le bugie dette online servano a mostrare un lato migliore di sé, ma che il meccanismo non sia legato alla presenza sui social quanto alla natura umana in sé;
  • il 45% crede invece che si mente per poca autostima o per paura di non apparire abbastanza interessanti;
  • il 56% dei soggetti coinvolti pensa che la Rete dia a tutti l'opportunità di creare una versione "migliore" di sé, anche se distante dalla realtà.

Bugie e disinformazione

Quelle di cui abbiamo parlato finora sono bugie che a qualcuno potrebbero sembrare innocue e che in alcuni casi fanno quasi sorridere. Ma il discorso cambia quando dalla bugia bianca sul sito d'incontro si passa alla vera e propria disinformazione veicolata dai social. A generare il focolaio della fake news non sono quasi mai gli utenti in prima persona, ma testate online e blog, i quali utilizzano tecniche ormai note per attirare l'attenzione degli utenti, farli interagire e rendere il contenuto virale. Un titolo particolarmente accattivante, anche se poco dettagliato e circostanziato, può bastare a generare una catena di condivisioni che diffondono il contenuto talmente velocemente da rendere ormai inutile qualsiasi intervento successivo di fact-checking e smentita. Una volta diventata virale, infatti, la notizia attecchisce nell'immaginario collettivo e ne viene difficilmente sradicata, a volte nemmeno fino a prova contraria.

Abbiamo inoltre la prova che sui social le notizie false riescano a correre molto più velocemente di quelle vere. Lo spiega Riccardo Luna per AGI: "La ricerca, condotta dal MIT e pubblicata su Science, è stata fatta analizzando il destino di 126 mila notizie in inglese su Twitter. E quindi studiando il comportamento di 3 milioni di utenti per dieci anni. Dal settembre 2006 al dicembre 2016. Il risultato è che le fake news sono sei volte più veloci delle notizie vere. Per raggiungere una determinata audience ci mettono un tempo sei volte inferiore. In fondo lo diceva anche lo scrittore irlandese Jonathan Swift, due secoli fa: le bugie volano, la verità arranca zoppicando. E non c’era Internet nel ‘700. E nemmeno il telegrafo se per questo.

Da che dipende questa differente viralità? Uno potrebbe attribuirne la responsabilità ai bot, cioé a quei profili finti di utenti Twitter che sono gestiti tramite algoritmi. I robot di Twitter. E invece la straripante vittoria delle notizie false da quelle vere dipende da noi, esseri umani. Siamo noi che crediamo alle bufale. E non per ingenuità. Ma perché crediamo più volontieri a qualcosa che conferma un nostro pregiudizio, una nostra visione del mondo. Anche se è falsa. E poi perché spesso le notizie false sono eclatanti, sorprendenti. Ci colpiscono di più. Le notizie false in rete sono associate alla sorpresa e al disgusto, due stati d’animo che ci invitano a condividerle subito con i nostri amici; le notizie vere sono associate con la fiducia e la tristezza. E spesso la noia."

Bugie e sondaggi

Il problema delle bugie dette nei sondaggi si presenta ciclicamente, di solito in occasione di estenuanti campagne elettorali durante le quali i numeri si rincorrono vorticosamente, per essere confermati o smentiti a seggi chiusi. In più occasioni è capitato che i sondaggisti venissero attaccati duramente e che ne fosse addirittura messa in discussione la professionalità. Aldo Grasso, già nel 2014, aveva provato a dare la sua spiegazione del fenomeno al Corriere della Sera: "Fossi un sondaggista, nella stanza delle elaborazioni farei incidere a caratteri cubitali una frase di Nietzsche: «Nessuno mente tanto quanto l’indignato». Siccome alla vigilia delle elezioni tutti si mostrano indignati è molto probabile che molti mentano. Non solo. Sono diventato grande senza mai conoscere, di persona, uno che mi dicesse: «Ho votato Democrazia cristiana». Eppure la Dc ha regnato per quasi 50 anni. Il grande storico Edgar Quinet, autore del fondamentale «Le rivoluzioni d’Italia» (scritto tra il 1848 e il 1852), sosteneva che il nostro è «un popolo allevato nell’arte di negoziare, mentire, ingannare e vendere l’indipendenza per comprare la quiete della servitù, e finisce per odiare tutti coloro che cercarono di risvegliarlo dal suo letargo». Esagerava? Non siamo più così? Non so se nell’elaborare le statistiche, nel ponderare le risposte, nella scelta della campionatura esista l’algoritmo del mentitore; temo sia necessario. Quanti ex berlusconiani, per esempio, hanno confessato di votare Renzi?"

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Gli strumenti per difendersi

Chi ha a che fare quotidianamente con i sondaggi sa benissimo che ogni dato è importante, e che il contributo di ogni intervistato è fondamentale. Soprattutto è importante che tutti gli intervistati rispondano onestamente alle domande proposte, in modo da non alterare i risultati dei sondaggi.

Ci sono casi, per fortuna molto rari, di panelisti che rispondono ai sondaggi in maniera inaccurata o del tutto falsa. I motivi? Semplici quanto banali: la speranza di rientrare nell'indagine anche se non si hanno le caratteristiche richieste per il campione, di ottenere più sondaggi oppure di perdere meno tempo nella compilazione. Come facciamo allora a garantire la qualità dei dati e capire se un intervistato sta mentendo? I metodi sono moltissimi, non li condivideremo tutti ma facciamo un po' di chiarezza su alcune metodologie molto semplici e veloci.

  • la velocità di compilazione I sondaggi sono creati da esperti che monitorano anche il tempo medio di compilazione. Se un questionario molto lungo viene compilato in un tempo troppo breve anche per un lettore veloce, qualcosa non torna. La spiegazione più logica per un sondaggio compilato troppo in fretta è un mix di disattenzione e superficialità, e vanno indagati per capire se il panelista è realmente attendibile;

  • l'incoerenza: molte volte alcune domande di uno stesso sondaggio, che verte intorno ad una tematica più o meno precisa, sono simili tra loro o indagano diverse sfumature di uno stesso soggetto. L'incoerenza tra le risposte è il chiaro sintomo di una compilazione frettolosa e distratta, e un istituto che tiene in alta considerazione la qualità dei dati raccolti non può permettere che i sondaggi diventino sistematicamente incoerenti;

  • informazioni false o sbagliate: controlli periodici e casuali potrebbero far emergere incongruenze che minano la credibilità del panelista. Una casalinga di quarant'anni che da un sondaggio all'altro si trasforma in un imprenditore cinquantenne o in uno studente di vent'anni fa pensare ad una mancanza di serietà o all'utilizzo di diversi account per persona.


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