L’alfabeto della ricerca: B di Big data

Cosa sono i big data e cosa li rende così “grandi?”

Si tratta di un’enorme mole di dati che possono essere strutturati ed analizzati in modo da estrapolare connessioni, fenomeni, tendenze e perché no, previsioni. Il vero potenziale dei dati sta dunque nella loro interpretazione, per la quale servono complessi calcoli matematici e metodi analitici specifici.

Perché big? Perché il volume dei dati disponibili è praticamente infinito. Solo negli ultimi due anni il flusso di dati disponibili è aumentato del 90%, rendendo disponibili per le aziende una quantità di dati a ventuno zeri.

Le caratteristiche dei big data

I big data possono essere raccolti senza l’influenza dell’osservatore, perché non vengono raccolti esplicitamente con l’intenzione di essere analizzati per uno scopo specifico.

A differenza di ciò che accade per i sondaggi, ad esempio, i big data vengono raccolti senza uno scopo preciso e vengono poi analizzati e confrontati in base alle successive domande di ricerca.

La quantità di dati disponibili è realmente infinita se pensiamo che vengono generati nuovi dati in ogni secondo di ogni giorno in tutto il mondo. Questi dati possono essere più o meno strutturati, a seconda della loro provenienza. Che è a sua volta vastissima: dispositivi elettronici, satelliti, software, click, interazioni, strumenti di localizzazione e chi più ne ha più ne metta.

I vantaggi

Molti pensano che i big data siano la più grande risorsa del futuro e che decreteranno la fine di sondaggi, indagini e rilevazioni. Le caratteristiche che li rendono interessanti ed appetibili da un punto di vista economico sono racchiuse nelle 3 (+2) V del modello di Douglas Laney, che nel 2001 espose la sua teoria sui Big Data.

  1. Volume;
  2. Velocità;
  3. Varietà.

A queste si sono aggiunte, nel tempo:

  1. Veridicità (come anticipato, non essendo sollecitati e quindi facilmente influenzabili, i big data rappresentano una fonte di dati affidabili e di qualità);
  2. Variabilità (il significato dei dati è mutevole a seconda del contesto nel quale questi vengono analizzati).

I pericoli

Uno studio condotto su incarico dell'Ufficio federale delle comunicazioni dal Prof. Dr. Thomas Jarchow e Beat Estermann sottolinea che “occorre concentrarsi maggiormente sulle ripercussioni che i big data hanno sulla società. Le questioni più impellenti si pongono nel campo della protezione dei dati personali e nella prevenzione dell'abuso di dati. Alcuni temono una dinamica propria incontrollata dei sistemi dovuta ad algoritmi che nessuno riesce più veramente a capire e a controllare. Un'ulteriore problematica per cui i big data non sono responsabili ma su cui potrebbero avere un effetto potenziatore, è la distribuzione iniqua delle risorse e del potere che rischia di portare a squilibri sociali se non viene controbilanciata per tempo.”

Per sfruttare il potenziale dei big data permettendo ai singoli di mantenere un controllo dei propri dati, bisogna perciò:

  • allestire e curare un’infrastruttura nazionale di dati, che preveda una trasparente gestione dei dati a cura di specialisti in materia di dati;
  • prevedere misure per la protezione dagli abusi, cioè “migliorare le condizioni quadro giuridiche tese a garantire la sicurezza dei centri di dati e, in concorso con l'economia privata, creare più soluzioni tecniche volte a garantire la protezione dei dati”;
  • attuare il principio del diritto personale sui dati.

I big data renderanno inutili sondaggi e ricerche?

La risposta, in base alle informazioni di cui disponiamo al momento, è un sereno no, almeno per due motivi. Innanzitutto i big data sono formidabili nella descrizione dei comportamenti ma non lo sono altrettanto nella loro spiegazione: al momento ci dicono molto su “cosa” fanno le persone ma pochissimo sul “perché” lo fanno” (e di conseguenza su come si attivano le decisioni). In secondo luogo la figura dell’analista, ora più che mai, si rende necessaria per interpretare correttamente i dati raccolti, sia spontaneamente che nell’ambito di ricerche strutturate.

I metodi statistici si rendono quindi indispensabili per verificare le ipotesi prodotte dai Big Data, le quali in molti casi possono essere serenamente smentite.

Ne è un esempio lampante la questione dei sondaggi politici, nei quali le ipotesi basate sull’analisi dei Big Data hanno più volte creato errori macroscopici di interpretazione.


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