Con la cultura si mangia? I dati e lo scenario futuro

In principio fu una (fake?) news. Sarebbe uscita dalla bocca di Giulio Tremonti, allora Ministro dell'Economia, la frase che molti hanno letto come una provocazione, altri (tra cui l'interessato, che continua a smentirla con una buona dose di ironia accessoria) disconoscono del tutto: "con la cultura non si mangia".

Da quel momento in poi sono stati moltissimi gli intellettuali che si sono sentiti in dovere di smentire la frase infelice. Ultimi, in ordine di tempo, la professoressa della Bocconi Paola Dubini e il Ministro della Cultura Dario Franceschini, che hanno scritto rispettivamente "«Con la cultura non si mangia» Falso!" e "Con la cultura non si mangia?", due saggi che ruotano intorno alla stessa tematica.

Non sfuggirà ai più attenti il fatto che la certezza della Dubini, che scriveva nel 2018, sia stata rimpiazzata dalla più cauta domanda di un Ministro che scrive dopo una pandemia e nel bel mezzo di una guerra. Vediamo, però, cosa ci dicono i dati nel frattempo.

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Le ragioni della Dubini

Nel 2018, quando la Dubini, Professore Associato di Economia Aziendale all'Università Bocconi, scriveva "«Con la cultura non si mangia» Falso!", i dati sulla cultura (riferiti al 2016) erano abbastanza incoraggianti. Eccone alcuni:

  • 110,6 milioni di utenti avevano visitato 4.800 musei;
  • il 40,5% della popolazione sopra i 6 anni dichiarava di aver letto almeno un libro per svago nei 12 mesi precedenti;
  • il 15% della popolazione dichiarava di frequentare le biblioteche;
  • i 124.000 luoghi di spettacolo censiti dall'Istat dichiaravano una vendita di 521.500 biglietti per un volume di affari di 6,5 miliardi di euro;
  • l'export di prodotti culturali muoveva una cifra complessiva di un miliardo e mezzo di euro.

Numeri che la facevano giungere a questa conclusione, nel capitolo (non a caso) intitolato "La cultura non rende. Falso!": "È evidente che il sistema della cultura è efficace dal punto di vista economico: se così non fosse, se non producesse ricchezza, non esisterebbero tutte le organizzazioni culturali che ho descritto e non ci sarebbe attività economica. E gli elevati tassi di natalità e mortalità dei settori culturali e creativi testimoniano da un lato la vitalità di queste filiere e anche la difficoltà che incontrano a «stare sul mercato»; difficoltà peraltro comuni alle organizzazioni operanti in moltissimi settori. Da questo punto di vista, gli studi che testimoniano il contributo della cultura all'economia e il ritorno economico dell'investimento in cultura hanno il pregio di mettere in evidenza che - in quanto attori economici - le organizzazioni culturali sono tutt'altro che irrilevanti, anche se poco visibili e generano ricadute preziose".

In sintesi, con la cultura non si mangia quando ci si arrocca su posizioni granitiche e si rifiuta il cambiamento. Come in ogni altro settore.

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La situazione nel 2022

Leggendo il nuovo lavoro di Dario Franceschini, Ministro dei Beni e le Attività Culturali, si respira una buona dose di speranza. Speranza che non è cieca alle crisi che stiamo vivendo, ma che anzi le prende come spunto per cercare di risollevare le sorti di un Paese quasi intorpidito dopo due anni di pandemia e spaventato dallo spettro della guerra che si sta consumando alle porte dell'Europa. Nella scheda del saggio si legge:

"Dario Franceschini (che dal 2021 è ministro della cultura del governo Draghi, dopo aver ricoperto lo stesso incarico per sei anni nei governi Renzi, Gentiloni e Conte 2) sottolinea come la cultura possa e debba essere non solo una leva di crescita civile, ma “il motore di uno sviluppo economico sostenibile, la chiave per iniziare a costruire il mondo che verrà, dopo la pandemia e la guerra in Ucraina”. Nel saggio si parla anche di promozione alla lettura: “La vera sfida, quella che dovrebbe appassionare e coinvolgere tutti, istituzioni, autori, editori, distributori vecchi e nuovi, deve essere quella di allargare la platea dei lettori."

E ancora: "La cultura non è solo il racconto di quello che siamo stati e che siamo, è il centro di una strategia per rilanciare lo sviluppo, per costruire un paese più inclusivo e accogliente, più forte nello scenario europeo e internazionale. Un paese aperto al futuro".

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Lo scenario futuro

La cultura, nel futuro, avrà sfaccettature sempre più ampie e mutevoli. Cambiamento sarà forse la sua parola chiave. Gli interpreti della cultura non saranno solo più curatori di mostre, scrittori, musicisti, ma anche influencer, writers e podcaster. Chi saprà salire su questo treno potrà dire che con la cultura si mangia (ancora).

Massimiliano Tarantino è il Direttore della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli e il Responsabile della Comunicazione Corporate e delle Relazioni Istituzionali del Gruppo Feltrinelli, nonché Responsabile, da gennaio 2019, del progetto Feltrinelli Education, startup del Gruppo per le attività formative. Lui è uno di quelli che nella cultura ci credono, che su di essa puntano, investono, innovano. All'Huffington Post ha dichiarato: "Con la cultura direi che non solo si mangia, ma si porta avanti un’identità di paese. Si trova poi una gratificazione personale senza eguali perché è uno dei settori principali in cui è al centro la creatività. [...] La cultura è ovunque. Non possiamo dire che è solo l’economia di chi produce intrattenimento ma è il vero fondo di ogni democrazia. Perché è confronto con l’altro, con sé stessi e con culture altre che ci arricchiscono. Ha un ruolo fondamentale nel senso letterale." (Puoi leggere l'intervista integrale cliccando qui).

Di prospettive future per la cultura italiana parla anche Alessandro Mancini di Fortune Italia. Cita qualche dato, secondo cui nel 2020, solo in Italia, il settore culturale e creativo avrebbe prodotto 84,6 mld di euro di valore aggiunto, con poco meno di 1,5 mln di persone occupate, e vede nella cultura un antidoto ai mali della contemporaneità e un sistema per produrre ricchezza. La cultura, sia materiale che immateriale, può essere, e anzi deve essere, ora più che mai un motore di ripartenza e una luce di speranza per superare le crisi lunghe ed estenuanti che stiamo affrontando in questo difficile decennio.


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