Andrà tutto bene. Sembra una frase fatta, magari lo è, ma se è stata fatta ci sarà un motivo. Andrà tutto bene e a quanto pare ci credono tutti, e chi non ci crede se lo ripete come un mantra fino a quando non ci crede anche lui. Passeranno le quarantene, i bollettini di guerra delle 18:00, passeranno le restrizioni e le paure e gli italiani si volteranno indietro, pronunciando la famosa frase che per ora non ha una data di uscita, come molti film al cinema:
“Ma voi ve lo ricordate il coronavirus?”
Di questa fase lunga e difficile, che è iniziata da meno di un mese ma è talmente intensa che già ci sembra di non ricordarci più come si viveva prima del coronavirus, rimarranno molte cose.
I venti dell’economia soffiano sfavorevoli in questa fase di paura, potremmo definirle le scosse di assestamento del terremoto coronavirus. Tra chi già pensa a contare i danni e chi invece vive il momento pensando che, come sempre, in qualche modo faremo, gli italiani non stanno affatto avendo paura di mettere mano al portafogli. La solidarietà corre veloce sui social, si sostengono la ricerca, gli ospedali, si comprano costosissime attrezzature per terapie intensive ormai al collasso. Ognuno dà il suo contributo, mentre si moltiplicano le iniziative e gli zeri sulle cifre raggiunte dalle singole raccolte fondi.
Le influencer, messi da parte gli outfit costosi e in diretta dalle loro quarantene fatte di pigiami e serie su Netflix come quelle di tutti i comuni mortali, non sponsorizzano più creme rassodanti e pillole bruciagrassi ma raccolte fondi. Parlano di ventilatori polmonari, di dispositivi di sicurezza e si conquistano l’affetto anche di una parte di pubblico che le ha sempre considerate frivole e distanti.
C’è chi ci ironizza: la quarantena non è rilassante né tantomeno noiosa come ci avevano fatto credere. Accantonati i propositi di dedicarsi a se stessi, di concedere tempo all’introspezione, alla lettura e alle pulizie di casa, l’agenda degli italiani si è riempita all’inverosimile di iniziative social. Gli smartphone, incandescenti, sono messi a dura prova dalle continue videochiamate di gruppo, dalla condivisione di challenge sui social, dal passaparola per organizzare il prossimo flashmob al balcone. Tra appuntamenti fissi come l’applauso a medici e sanitari, e le improvvisazioni canore a tema locale o nazionale, sembra che davvero non ci sia tempo per annoiarsi, riflettere o farsi impaurire.
Ci si lamenta della quarantena, dell’isolamento. Dei parenti lontani, degli abbracci che i nonni non possono ricevere per non metterli a rischio, si desidera uscire e riunirsi, tornare alla vita normale. Ma le lamentele vengono fuori a bassa voce, perché il sacrificio che viene chiesto ai comuni cittadini non può essere paragonato a quello di chi sul campo ci deve stare eccome, e non può sottrarsi al proprio dovere. I turni estenuanti di medici e operatori sanitari sono diventati foto-simbolo, virale lo scatto che ritrae un’infermiera esausta addormentata su una scrivania. Niente più turni, niente riposi, si lavora duro e si va avanti a testa bassa, come in guerra, per salvare vite ad un ritmo estenuante. E allora quegli applausi sono un po’ più rumorosi, tra un flashmob e l’altro si dipingono striscioni, li si chiama eroi perché non si può fare altrimenti, ogni sacrificio diventa banale di fronte alla loro vita in trincea.
"Vi ringrazio perché so che state cambiando le abitudini di vita, state compiendo dei sacrifici e so che non è facile, ma sappiate che queste vostre rinunce – piccole, grandi – stanno offrendo un grande contributo, prezioso al Paese. L'Italia possiamo dirlo forte, con orgoglio, sta dando prova di essere una grande Nazione, una grande comunità, unita e responsabile". Queste le parole di Giuseppe Conte davanti al comportamento di un Paese che, per una volta, ha messo da parte destra e sinistra, Nord e Sud, e si è virtualmente stretta in un grande abbraccio.
Eravamo l’Italia che cantava l’inno di Mameli solo in occasione delle partite di calcio. Ci sentivamo italiani solo quando si trattava di campionati, di coppe e di Mondiali, invece il coronavirus sembra aver risvegliato un orgoglio nazionale ormai sopito. I social traboccano di bandiere, di inni cantati a squarciagola dai balconi, di dichiarazioni d’amore per il proprio Paese, ferito nel profondo ma non per questo sconfitto.
I vicini di casa che prima non si conoscevano ora si salutano dalle finestre, ballano e cantano, si mettono a nudo e si riscoprono giocosi, vulnerabili eppure forti e combattivi. Perché forse, in compagnia, anche l’isolamento fa un po’ meno paura.
In questi giorni difficili e dalla portata storica, l’intera Italia può definirsi una community stretta in un forte abbraccio e pronta a ripartire. Ma una parte importante di quella grande comunità è quella che in questi anni abbiamo riunito in Sigma Consulting. Un virtuale abbraccio e un sentito ringraziamento va a tutti i nostri utenti che stanno dimostrando una grande forza in questi momenti decisivi.
Nella nostra Community contiamo medici, infermieri, operai, casalinghe: ci siete tutti, persone che stanno lottando negli ospedali e persone che stanno rimanendo a casa per dare il loro piccolo contributo. Ci piacerebbe sentire la vostra esperienza, raccontatecela e affrontiamo insieme questa fase. Andrà tutto bene.
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